“...Non c’è tempo per la filosofia… rispondiamo alle necessità ordinarie e straordinarie”

Quella frase, intesa nell'accezione dispregiativa del “poche chiacchiere, dobbiamo lavorare”, lascia trasudare il nuovo mondo della politica: labile, cangiante, privo di solidi indirizzi, ostaggio di personalismi e soggetto alla vulnerabilità di ingerenze esterne sensibili più ad interessi meno nobili di carattere privatistico che all’interesse comune. Sempre più una roba da mestieranti.

La concezione è che con quella definizione di “chiacchiere” si voglia seppellire la storia del pensiero politico alto che ha segnato indirizzi, principi, visioni, garanzie, diritti a seconda delle posizioni di parte e dei ceti sociali ai quali si volesse dare voce e rendere garanzie.

Quel “dobbiamo lavorare” non può prescindere dal solco filosofico (appunto), politico ed etico segnato e prescelto dal democratico consenso sociale del momento, nella sua componente di maggioranza e nell’influenza di quella di minoranza.

È fondamentalmente questo che “chiedono i cittadini” quando esprimono il loro voto. 

È fondamentalmente questo che esige la democrazia della nostra Costituzione.

Il governo della cosa pubblica non può prescindere dall’indirizzo filosofico e politico. La parola governo implica l’indirizzo politico e la sua messa in opera attraverso una efficiente macchina amministrativa. L’uno non può prescindere dall’altro.

Un efficace segretario generale del Comune, ed i suoi funzionari, sono in grado tecnicamente di assolvere al meglio alla realizzazione di quanto disposto da Giunta e Consiglio. Un Sindaco, con la sua Giunta ed il Consiglio comunale devono essere in grado di assolvere a quanto disposto dai cittadini e, possibilmente, essere fedeli nell’alimentare e rinvigorire la politica, ed anche la filosofia, che fa da cornice e da guida alle scelte amministrative che i cittadini hanno espresso e chiesto.

Ci stiamo troppo velocemente abituando alla perdita della filosofia politica. Ci stiamo abituando a forme volgari ingannevoli con le quali si vuole narrare la politica, fatte di immagini rozze e cariche di effetti istintivi immediati ed accecanti, utili per una labile propaganda ma devastanti per un pensiero riflessivo. In parallelo ci stiamo abituando ad una politica deperita, astenica, fatta di atti burocratici scritti da burocrati ed imposti per alzata meccanica di mano spesso priva di analisi critica, di valutazione politica profonda. Una politica fatta sempre più da tecnici e meno da politici credibili e magari anche competenti nelle proprie materie.

Ecco, quel “non c’è tempo per la filosofia” suona un po’ come le definizioni “i professoroni” e i “radical chic da salotto” (che tanto piacciono alla destra) quando siamo di fronte a qualcuno che argomenta, approfondisce, elabora un pensiero, filosofeggia, fa politica appunto. Attenzione, perché tutto ciò, un poco per volta, ci sta risultando famigliare. In questo la sinistra ha perso gran parte del contatto con le parti sociali a cui si riferiva e di cui ne difendeva i diritti, e per questa nuova modalità di far politica “leggera” e consumistica quelle parti sociali si sono sparpagliate nelle più svariate direzioni.

Due nomi su tutti: Karl Marx e Friedrich Engels. Erano due filosofi ed insieme, nel 1848, hanno scritto il Manifesto del Partito Comunista.