Il fiume Marina è assai disordinato...
Il ponte alla Valle nella viabilità storica: recuperare l'antico nome per valorizzare il territorio ed entrare nel futuro

Nelle antiche leggende i ponti non hanno mai goduto di buona fama. Simbolo di un passaggio, spesso autentici collegamenti tra il mondo dei vivi e quello dei morti, sui ponti il viandante poteva anche fare brutti incontri e numerosi sono i ponti del diavolo, a ricordare come solo l'astuzia o l'aiuto divino avevano potuto salvare qualche malcapitato dalle grinfie del demonio. Del resto, passare un ponte non doveva infatti risultare cosa agevole. Su strade da percorrere a piedi, a dorso di mulo o, per i più fortunati, su carri, a cavallo, in carrozza o calesse, su strade non asfaltate paragonabili alle mulattiere odierne, sotto il solleone e nella polvere in estate, all'acqua, al gelo, impantanati nella mota in inverno, i viaggiatori (pellegrini, soldati o mercanti che fossero) coprivano distanze che si misuravano in giorni di cammino, superavano dislivelli arrancando in salita, anche un semplice torrente poteva costituire un serio ostacolo considerando la precarietà del passaggio (poco più di un guado o una semplice passerella di legno) e un'ampiezza del letto fluviale spesso variabile col trascorrere delle stagioni.

Però attraversarli era necessario in quanto nodi infrastrutturali delle antiche viabilità per eccellenza nonché punti di controllo del traffico sul territorio per l'utilizzo dei quali signori e città esigevano tasse (pontatico) da qualunque forestiero li attraversasse. Per questo, buona norma era costruire presso un ponte (come in cima ad una salita o ai piedi di un passo montano) una taverna che ristorasse il viaggiatore dopo il faticoso cammino, taverna o osteria (o spedale) intorno al quale, nel corso degli anni, poteva costituirsi una piccola comunità di artigiani legati ai servizi da fornire al viaggiatore (stallieri, fabbri, sarti, cuoiai e sellai). Spesso il ponte è anche associato al mulino, specie quando il ponte è in muratura e si possono sfruttare i lavori per il suo consolidamento per irreggimentare le acque necessarie a muovere le pale della macine.

Anche intorno all'antico Ponte alla Valle, proprio ai piedi della collina di Calenzano Alta e lungo la strada che porta al castello, già in pieno Medio Evo erano sorte alcune costruzioni. Le prime notizie intorno alla nascita di questo piccolo centro si possono leggere nel Liber Extimationum, un elenco dei beni posseduti da famiglie appartenenti al partito guelfo nel castello di Calenzano (o sul territorio dell’attuale Comune) danneggiati durante il periodo della governo ghibellino a Firenze seguito alla battaglia di Montaperti (1260) e registrati nel 1269 dal notaio del comune di Firenze, ser Rogerius Guillelmi Berovardi. In quegli anni, ai piedi della collina, si estendevano le proprietà di eminenti cittadini come messer Iacopo della Scala, abitante a Firenze nel sesto di Borgo (attuale zona di Palazzo Pitti), il quale oltre ai beni nel castello possedeva più case (tra cui una con palco in legno) in luogo detto Monte «ubi fiebat aia prope Marinam», alcune capanne ed una torre presso la gora che portava l'acqua al mulino. Altre case e capanne nell'area tra l'attuale Ponte alla Valle e la fattoria di Macia erano di proprietà dei fratelli Lapo e Giannuzzo, residenti nel Sesto di Borgo, popolo di Santa Trinita, mentre Bindo di Piccolino e i suoi fratelli, che dovevano godere di una certa agiatezza visto che possedevano una casa nel castello, erano i proprietari di «unum molendinum cum duobus palmentis in flumine Marine in loco qui dicitur molendinum de la Fracta ad pedem podii de Calenzano...» [un molino con due macine sul fiume Marina in località detta “molino della Fratta” ai piedi del poggio di Calenzano, ndr].

Il nucleo essenziale di quello che oggi è denominato il Mulino risulta quindi già pienamente costituito alla fine del XIII secolo, ma già negli anni successivi dovette conoscere un lento ma inesorabile degrado dovuto alle vicende storiche che interessarono il sovrastante castello. Il Trecento fu veramente un secolo di calamità e di terrore per gli abitanti di Calenzano: nel 1325 l'incursione dei ghibellini lucchesi guidati da Castruccio e da Azzo Visconti mise a ferro e fuoco il territorio, nel 1353 ed ancora nel 1364 due nuove incursioni (stavolta dei milanesi e dei pisani) finirono di distruggere tutto quello che Castruccio aveva risparmiato. La desolazione dell'area intorno al castello era tale che in occasione dell'ultimo episodio bellico ricordato, la popolazione del castello di Calenzano preferì ripararsi all'ombra delle mura della pieve fortificata di San Donato. In questa situazione anche il ponte ed il piccolo nucleo abitativo circostante dovette essere abbandonato e cadere in desolazione.

Non più centro economico del territorio (lasciato alla pieve di San Donato, nel frattempo divenuta patronato della famiglia Medici), la collina di Calenzano ed il territorio circostante conobbero un lento ma inesorabile declino. Due secoli dopo questi fatti, le relazioni degli Ufficiali dei Fiumi al Granduca ci descrivono un territorio in cui le forze della natura avevano ripreso il sopravvento sui lavori dell'uomo. Il 27 giugno 1588, «considerato che il fiume Marina è assai disordinato» si procede a fare una serie di lavori di sistemazione degli argini a valle del Ponte, tra cui due pescaie «lunghi braccia 12» sopra la chiesa di Sant'Angelo, e circa 70 braccia (circa 35 metri) «che già il fiume ruppe, che in tutto sarà di spesa circa scudi 200 e tocca a quelli ne vengon beneficiati». Qualche anno dopo sono necessari nuovi lavori: il 30 luglio 1631, il Gran Duca viene informato che «Il letto del fiume Marina è tanto rialzato sotto il Ponte alla Marina e di sotto la strada maestra che alle piene trabocca e inonda la campagna con danno grande; onde, a istanzia degli interessati, si è fatto visitare dalli Commissari Bagnini e Maiani i quali riferiscono che a volervi provvedere v'è bisogno di rialzare mezzo braccio la strada per una lunghezza di braccia 700 e in più fare un pezzo di palafitta di braccia 15...». Pochi giorni dopo, il 6 agosto 1631, si rendono necessari nuovi lavori: «Sul fiume della Marina a Calenzano, poco sopra il ponte della Marina dirimpetto a' beni di Giorgio Scali, è rovinato un pezzo di muro che reggeva l'argine di detto fiume e se non si ripara ne rovinerà dell'altro et essendosi fatto visitare il luogo dal Capomastro Callonesi, riferisce che bisogna farvi una palata lunga braccia 14 con una sua cassa per il getto e far detto getto e di poi murarvi sopra il muro a calcina et oltre a ciò dice che bisogna fare un altro pezzo di palata lungo braccia 27 ed un pescaiolo che attacchi a un altro v'è...».

Il Ponte alla Valle era dunque un elemento di grande importanza nella viabilità antica, punto di raccordo tra le strade della pianura che portavano i pellegrini dall'Europa del Nord, attraverso la cosiddetta Via Tedesca (o d'Alamagna), fino a Firenze e da qui a Campi, Prato, Pistoia lungo le strade del pellegrinaggio Jacopeo o, attraverso il Montalbano, fino a Fucecchio ed alla Francigena: da quello che oggi è detto Nome di Gesù (dal titolo di un antico tabernacolo a indicare il raccordo tra la strada verso Prato e quella che veniva dal ponte sul Bisenzio a Campi), gli antichi viaggiatori potevano infatti o dirigersi verso Prato o proseguire verso Nord, attraversando la Marina sul Ponte detto appunto alla Valle per poi risalire verso il castello e da qui proseguire verso la Pieve di San Donato, punto di partenza per la strada verso Legri ed il Mugello.

Valorizzare il Ponte, rispolverando l'antico nome, risulta quindi un'operazione che non vuole soddisfare solo una mera curiosità locale, ma si inserisce in un contesto più ampio che porta anche Calenzano ed il suo territorio a pieno titolo nei progetti regionali e nazionali di valorizzazione della viabilità storica, operazione quindi ancora più importante in un momento come questo in cui è necessario ripensare ai modelli turistici che la pandemia ha spazzato via in nome di un futuro meno consumistico e di un turismo più attento ai valori dell'ambiente, e della cultura, delle tradizioni locali e, perché no, alla ricerca anche della buona tavola e della cucina tradizionale.

Fabrizio Trallori, Gruppo di Lavoro "Cultura e Giovani" di Sinistra per Calenzano